Around Courmayeur Mont Blanc paths! Thanks for pics Geppo Di Mauro!
TOR 2013 – La staffetta di cuori…
Come ho detto spesso, secondo me 330 km non si fanno con le gambe. Si fanno con il cuore. Continua a leggere
MARATONINA “Terre d’Acqua”
Sono sempre stata dell’idea che x ripartire, per andare da qualche parte, servano nuovi stimoli. Ho iniziato a sentir parlare di “minuti al km” da quando ho conosciuto Simona, e, sempre con lei, quando ho tradotto roba tipo 4.30 al km in corsa pratica, mi è semplicemente venuto un colpo, più di 13km/h?
Non credo di poter tenere quel ritmo x 5 minuti senza avere un infarto, figuriamoci di più. Continua a leggere
UROC… WELL DONE!!!
Sono partita x il Colorado con l’idea ferma e decisa di fare una gara “conservativa”, intendendo con questo che il solo obiettivo era tagliare il traguardo con tutti i pezzi attaccati e salire sul podio finale delle WORLD SERIES. Sicuramente un risultato che avrebbe ripagato me e le aziende che hanno creduto in me in questo anno. Montura per tutto l’abbigliamento tecnico che mi ha permesso di correre tranquilla a queste quote con questi sbalzi di temperatura e Vibram per avermi dato sempre le “gomme” giuste per ogni terreno e qui tra neve, ghiaccio, sentiero e asfalto ne avevo bisogno.
Dopo una 100 miglia la fisiologia asserisce che, in due settimane, il corpo recupera circa l’80% della forza, io atterravo a Denver avendone percorse il doppio. Ragionevolmente quindi mi aspettavo un recupero non superiore al 60%, già ad essere ottimisti. Ma visto che ho la casa piena di girasoli mi sono detta “ok, vada x il 60%, dove mancherà la forza metterò il cuore”.
Così, dopo 3 giorni di test sul campo x vedere che effetto faceva correre a 3600m, mi sono infilata sotto l’arco di partenza con l’idea che x una volta avrei alzato gli occhi dal terreno x guardare il bosco e tutto il resto, riempiendomi il cuore di tutta quella natura autunnale che mi circondava.
Tuttavia ammetto che l’idea della gara conservativa aveva iniziato a fare acqua il giorno prima, quando tra il ritiro pettorali e la press conference avevo messo gli occhi sui trofei, in trionfale esposizione sul loro bel vellutino rosso. Ho pensato che x un posto tra le 5 avrei firmato subito, sebbene continuasse a sembrarmi irrealistico.
Allo sparo, tutti fuori come x una 5k: normale, siamo in America, tanto vale rassegnarsi. Avevo avvisato Renato “Al primo ristoro non ti aspettare di vedermi tra le prime, mettiti tranquillo e aspettami. Sono passata 3° a 2’ dalla prima…”. Inaspettatamente, il corpo aveva dato il giro, il paesaggio ha fatto il resto. Senza eccessivi casini sono arrivata a Frisco, dove avevamo “la Casa” cioè la super villetta in cui erano ospitati i top runners, e si sa, passare da casa può spesso avere delle conseguenze.
Infatti ho accusato una mini crisi, causata più che altro dal fatto che non ero riuscita ad aprire il marsupio con i gel nei 25 km precedenti. Dopo il ristoro ho cercato di ripigliarmi, aiutata anche dall’incoraggiamento di Mr“Backpack”, di Ultimate (zaini) a cui sembrava impossibile vedere davanti a sé la regina del TDG (ancora viva intendo), e di un ragazzo di cui non ricordo il nome che mi assicurava che x essere una con le gambe stanche andavo alla grande. Io ci credo sempre fino a un certo punto, però faceva piacere, e aiutava ad andare avanti.
Quando è arrivato il tratto sulla neve mi sono sentita bene, in fondo era un elemento noto, e allora via, sempre leggera. Ero leggera nell’anima, in verità, x chèsorprendentemente il mio proposito di trarre energia dalla natura stava funzionando. Inaspettatamente mi sentivo felice. Inoltre al momento ero 5, non potevo chiedere niente di più.
Primi problemi arrivano a Vail Pass, 54°km circa credo.
Lì ero a metà del tratto in asfalto di 18km e cominciavo ad essere stufa. Gli ultimi 7 km di asfalto mi hanno dato la botta finale, sono arrivata al ristoro totalmente esaurita, il distacco era salito a 23’ dalla 3° e 12’ dalla 4°: ma gli americani sono gentilissimi, una volontaria ha voluto una foto, 3 concorrenti hanno avuto una parola gentile e così ho infilato il sentiero dicendomi “ok, sei nel bosco, ok, respira e basta, va tutto bene, sei di nuovo nel bosco”. Strane queste parole dette da me che non alzo mai gli occhi, ma alla fine, allo stremo delle forze, mi ero convinta che solo l’energia del bosco avrebbe potuto aiutarmi e tanto valeva assorbirne il più possibile mentre camminavo con le mani dietro la schiena come un escursionista del CAI.
Il bosco ha funzionato: alla fine degli alberi, in cima, avevo recuperato 3 persone, e il mio “tifoso” mi ha esortata a non mollare: “don’t give up Francesca!!”.
E non so come spiegarlo, ma sentire questo incoraggiamento in inglese, da uno che mi chiamava x nome è stato magico.
Così ho promesso: ok, I will not give up!
Renato era risalito una buona parte del sentiero e sembrava stupito di vedermi correre così leggera ma soprattutto era stupito di vedermi di nuovo assolutamente in gara. Il report mi dava a 8’ minuti dal podio e praticamente incollata al possibile quarto posto.
Fatto stranissimo, andavo benone sui tratti scorrevoli e in discesa, dove la caviglia restava gestibile e non avevo problemi ai piedi. Così, eccomi al penultimo ristoro, in buone condizioni e di umore discretamente accettabile. Sfortunatamente in questo tratto c’era un pezzo di sentiero in comune in cui s’incrociavano i concorrenti, diciamo un giro di boa x intenderci. Forse questo tratto ha pregiudicato le mie possibilità di conquistare il 3°posto, perché Michelle Yates mi ha vista arrivare e si è regolata di conseguenza. Al ristoro ho superato Kerrie Bruxvoort e ne sono uscita come quarta.
Era già una magia. Era già incredibile. Bastava.
A me bastava.
Ho percorso gli ultimi km in discesa praticamente al buio, l’organizzazione aveva toppato ampiamente i tempi previsti. Fortunatamente dopo aver lasciato il ristoro accompagnandomi per un piccolo tratto, Renato è tornato indietro e poi ha avuto lo scrupolo di raggiungermi nuovamente per darmi una piccola frontale di riserva (“non si sa mai…”) che logicamente io non volevo ma che ha fatto sì che potessi limitare i danni del buio e arrivare consapevole di avere fatto un piccolo capolavoro.
Si può pensare che un 4° posto non sia questa gran conquista, e pure io, come impostazione mentale, qualche tempo fa forse lo avrei pensato.
Ma ho percorso molta strada, non soltanto in chilometri, e questa strada mi ha permesso di dare il giusto peso a molte cose.
Un 4° posto in una gara che si chiama Ultra Race of Champions World Championship, con il parterre che c’era, con il fuso orario e i 330k della vittoria al TOR nelle gambe solo 14 giorni prima è un grandissimo risultato.
Ma soprattutto, è stata una gara in cui sono riuscita quasi x intero a mettere l’anima, assorbendo tutto il bello e il buono che ho potuto, lasciandomi semplicemente “esistere”. Nel momento in cui ho tolto pressione da mestessa, tutto è venuto da solo.
Ho affrontato con leggerezza, senza paura, una gara scorrevole in un momento in cui fisicamente era la peggiore delle situazioni immaginabili, di questo sono molto fiera.
Io non voglio vincere sempre, non DEVO vincere sempre. Voglio affrontare delle sfide e fare dei passi avanti, voglio misurarmi con me stessa ed essere orgogliosa del risultato.
Poi il giorno dopo ho perso l’aereo. Ho fatto il solito casino fotonico perché io sono fatta così. E sapete che vi dico? CHISSENEFREGA.
Nella vita ci sarà sempre un altro aereo, ma non necessariamente un’occasione persa in qualcosa che conta tornerà a bussare alla mia porta. Quindi va bene così.
4° posto e aereo perso: ho preso l’aereo dopo, ma il trofeo che avevo visto sul suo vellutino rosso adesso è con me.
SPEEDGOAT 50K
UTAH, AMERICA
Hi, HOW ARE YOU TODAY?
Le giornate in america iniziavano sempre con questa domanda. Te la fanno le cameriere della colazione, ogni santa mattina, appena metti piede nella sala. Così, ogni giorno, quando andavo a “farmi” di uova e Biscuits home made, m’interrogavo su cosa diavolo mi stessero chiedendo, perché il mio inglese approssimativo non mi ha consentito fino a più o meno l’ultimo giorno di realizzare che volevano solo sapere se ero ok, se avevo dormito bene.
Ma dove mai si sente qualcuno che si preoccupa di come stai? Ecco, questa gentilezza degli americani è qualcosa che mi è rimasto.
Durante la gara, un massacro insostenibile fino al 25°km, tutti, uomini e donne in egual misura, mi hanno detto parole gentili ogni volta che li incrociavo: “well done girl” quando li superavo. Una cosa incredibile… Continua a leggere
Eiger Ultra Trail
Miss Eiger…
Ice Trail Tarentaise
Il Trail più alto d’Europa e un podio di grande valore…
Andorra una vittoria vissuta…
Andorra ultra Trail
ff
Andorra – Ronda des Cimes
ANDORRA: L’ULTRA VERTICAL
Ho scelto Andorra sulla carta, a sensazione. Così a occhio mi pareva un inferno, e tutto sommato visto cheho questa particolarità che nell’inferno dò il meglio, ho deciso di lanciarmi.
Tutto però comincia a farsi terribilmente reale al ritiro pettorali: come ormai spesso succede, salta sempre fuori qualcuno che io non ho mai la minima idea di chi sia, che vuole fare una foto insieme.
Ora, io sono andata alla gara perché era deciso, ma non si può dire che mi sentissi a posto, diciamo che confidavo nelle mani magiche di Christian Angster che mi aveva già salvata al TOR e che speravo si fosse ripetuto per Andorra.
Seduta sul muretto, quindi, tenevo gli occhi bassi per ridurre il rischio di entusiasmi facili da parte di chiunque, ma la strategia è fallita e nel giro di pochi minuti avevo fatto già almeno 5 foto.
Questa cosa è bella, chiariamo, solo che quando non sono convinta di poter fare le cose come si deve mi sento a disagio. Renato invece osservava la scena soddisfatto. Punti di vista.
Comunque, sintetizzando, la strategia di base era una sola: fare del mio meglio, niente pasticci, affidandomi all’occhio obiettivo di Renato. Se mi dirà “bevi”, berrò. Se mi dirà “mangia”, mangerò. Se riterrà opportuno un ennesimo ritiro farò anche questo. Ma non dovrà succedere. Questo no. Non questa volta.
I ristori saranno gestiti il più possibile da Renato, che per l’occasione potrà contare anche sul prezioso aiuto diCarles Rossel, Team del Barmasse!!! Carles è stato fantastico, è venuto in albergo per spiegare bene la situazione, agevolando al massimo l’assistenza che avrei ricevuto. Ha tentato anche di spiegare il percorso, ma con me è tempo perso…
Così, al mattino alle 7 meno 5 non sono neanche nella griglia di partenza, eravamo un po’ in ritardo…
Partono.
Tutti evidentemente hanno sbagliato gara: no, forse hosbagliato io, siamo in mezza maratona cazzo.
E vadano pure che cavolo, se parto così pure io mi ammazzo.
In mio soccorso arriva Roberto Beretta, il Team delBarmasse è ricompattato, mi sembra un sogno: lui chiacchiera allegramente e mi fa compagnia, poi nelle prime discese mi metto sui suoi passi sicuri e vengo giù senza danni.
Quando, dopo circa 3 ore mi segnala che non abbiamo trovato ancora il primo punto acqua obietto che il primo ristoro è al 30°, sono sicura. E invece ecco apparire assiepata un po’ di gente, ecco il punto acqua: ecco, non ne abbiamo fatti nemmeno 20!!! Oltre 3 ore per circa 18 km. Uno sballo.
Comunque, a questo punto gravito sulla 4° posizione, e ciò che è straordinario è che non m’importa. Sto iniziando a entrare in regime, non ho male in nessun posto, WOW, e i miei pensieri sono tranquilli.
Così, al ristoro successivo, Nerea esce dall’area quando entro io, siamo credo al 30°. Sono terza ancora per qualche minuto, poi vado. È ora.
Nella salita, decisamente verticale ma dolcissima paragonata al seguito, non vedo più nessuno sotto di me, sono riuscita a disfarmi anche degli uomini che erano vicino a Nerea. Significa che va bene, posso andare avanti così.
Poi arriva un tratto sulla neve, poi un pistone da sci con salita più o meno corribile ma che gestisco. In cima c’è il ristoro, Renato mi dice che ho recuperato su Emilie che è a 6 minuti. Mangio, bevo, pipì, riparto.
Altra salita. Arriva l’elicottero delle riprese, alzo la testa e appare Emilie. In cima a questo dannato muro l’avrò raggiunta. Durante la discesa verso il ristoro la lascio andare, va bene così, ho capito.
Renato mi aspetta con i viveri, mi siedo, lei no. Mangio con calma, bevo con calma, la lascio ripartire. Poi vado.
Poi passo.
Adesso rimane solo da vedere che succede.
E succede un’altra di quelle magie che non capirò mai, quelle cose fantastiche che ogni tanto fa il corpo: così, intorno al 60° km, dove Renato ha sempre detto che sarebbe cominciata la gara, inizio a sentirmi come appena alzata dal divano, corro dappertutto. Ho pensato che potesse essere rischioso, ma ho deciso di correre il rischio perché era il momento buono per riuscire a fare un po’ il vuoto.
Ha funzionato, e da lì in poi nessuna ha più recuperato niente.
Questa, in sintesi, la gara dal punto di vista della competizione.
Il percorso invece, un inferno.
Fortunatamente il balisage era davvero impeccabile, ma un terreno così, giuro, non l’ho mai pestato in vita mia. Dove non c’erano paludi c’era neve, dove non c’era neve c’erano le zolle scivolose e infide, se non eri su un muroverticale eri su una discesa con pari caratteristiche. Punti di transizione pochissimi, e quando c’erano non erano manco quelli dei sentieri ma dei traversi creativi in mezzo alla steppa.
Mai vista, ripeto, una roba del genere.
La notte, freddissima, tutta con i piedi a mollo. L’alba nella neve in mezzo al vento. Colazione con le brioches al Pas della Casa, in fondo all’ultimo nevaio che avrei dovuto percorrere in discesa, poi si riparte per gli ultimi 35 km credo, con 800 gradi all’ombra. Nella steppa. Non ne posso più.
Questa faccenda inizia a stufarmi, e credo che sia umano data la configurazione tipica che stavo imparando a riconoscere. A un traverso del cazzo impossibile da percorrere, seguiva sempre un dannato muro, di neve, pietre, erba o qualunque materiale, in cui la velocità di avanzamento non superava i 3 all’ora essendo ottimisti. Roba da andar fuori di testa.
E poi c’era il problema di Renato. Funziona così, io mi faccio un’idea a caso dell’orario in cui mi aspetto di vederlo, oppure vado in base alla configurazione del terreno. In un centro abitato ci DEVE essere. Se non c’èsignifica una cosa sola, e cioè tipicamente, che ho percorso la metà della strada stimata.
Alla fine questo fatto mi era sempre più intollerabile, così quando poi finalmente appariva, finiva che invece che provare sollievo gli scaricavo addosso tonnellate di frustrazione e la situazione diventava delirante. Fortunatamente è molto paziente….Poi bisogna ammettere che aveva 2 compiti complicati: gestire la mia gara sul posto, e tenere i contatti con Simona a casa.
Simona ha preso a cuore la faccenda, ha minacciato d’inviargli un mesaggio ogni mezz’ora se non avesse fatto bene il suo dovere d’informatore.
Insomma, riuscire a gestire 2 come noi richiede doti non comuni, e Renato ha decisamente superato la prova. Simona è d’accordo. È andato bene.
Ora dopo ora, sintetizzando, arrivo agli agognati ultimi 15 km, che per me, per come avevo codificato io le cose, dovevano essere 10, ma amen, facciamone 15.
Mi dicono “vai campiona, c’è solo una salita che per te è facilissima, 650 metriD+”.
Renato stima che è come il Bertone. Ora, cani e porci vanno al Bertone, dov’è il problema?
Il problema è sempre il solito. Muro di 150 metri. Discesa facilissima (x un’unica volta) e corribilissimasolo che non se ne può più, e…..traverso di merda con muro finale. Lì, giuro, credo di avere assunto il passo di uno sull’everest senza bombole. E non è che avessi il fiatone. Né ero morta di fatica. Semplicemente, NON ANDAVO AVANTI. Arrivata in cima, con tutti questi che non finivano più di dirmi “campiona” di qua e “campiona” di là, ho fatto che sedermi nella tenda a mangiare anguria. Con la conseguenza che alzarmi dalla brandina è stato un’impresa e muovere le gambe impossibile.
Ero diventata un palanchino e dovevo farmi il discesone ripido, 2 nevai e il traverso con le zolle. STORTA. Fanculo.
Da lì in poi ho percorso un tratto come se fossi in gita con l’asilo, per poi dovermi rimettere in assetto di guerra per l’ultima ripidissima discesa.
Discussione con Renato che non condivideva la modalità“gita dell’infanzia”, ma ormai era fatta. Ormai ero arrivata.
Chissenefrega se mi hanno passata 3 uomini sul finale, chissenefrega di tutto.
Questa, come ho letto in seguito, viene definita la gara più dura del mondo, e l’ho vinta io.
Può bastare. Va bene.
Monte Soglio – l’altra faccia della medaglia
MONTE SOGLIO. L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA
Innanzitutto, grazie.
Grazie agli organizzatori di questa gara per avermi invitata nonostante il mio stato di forma pressochè inesistente. E grazie, sempre a loro, soprattutto per il dispiegamento di forze che hanno saputo mettere in campo in condizioni problematiche.
A ogni guado, su ogni cresta, in ogni bivio possibile, ho trovato qualcuno pronto ad aiutare. Questo fa sentire protetti, al sicuro, ed è una cosa fondamentale.
Ora posso parlare della gara. Continua a leggere