Andorra – Ronda des Cimes

ANDORRA: L’ULTRA VERTICAL

 

Ho scelto Andorra sulla carta, a sensazione. Così a occhio mi pareva un inferno, e tutto sommato visto cheho questa particolarità che nell’inferno dò il meglio, ho deciso di lanciarmi.

Tutto però comincia a farsi terribilmente reale al ritiro pettorali: come ormai spesso succede, salta sempre fuori qualcuno che io non ho mai la minima idea di chi sia, che vuole fare una foto insieme.

Ora, io sono andata alla gara perché era deciso, ma non si può dire che mi sentissi a posto, diciamo che confidavo nelle mani magiche di Christian Angster che mi aveva già salvata al TOR e che speravo si fosse ripetuto per Andorra.

Seduta sul muretto, quindi, tenevo gli occhi bassi per ridurre il rischio di entusiasmi facili da parte di chiunque, ma la strategia è fallita e nel giro di pochi minuti avevo fatto già almeno 5 foto.

Questa cosa è bella, chiariamo, solo che quando non sono convinta di poter fare le cose come si deve mi sento a disagio. Renato invece osservava la scena soddisfatto. Punti di vista.

Comunque, sintetizzando, la strategia di base era una sola: fare del mio meglio, niente pasticci, affidandomi all’occhio obiettivo di Renato. Se mi dirà “bevi”, berrò. Se mi dirà “mangia”, mangerò. Se riterrà opportuno un ennesimo ritiro farò anche questo. Ma non dovrà succedere. Questo no. Non questa volta.

I ristori saranno gestiti il più possibile da Renato, che per l’occasione potrà contare anche sul prezioso aiuto diCarles Rossel, Team del Barmasse!!! Carles è stato fantastico, è venuto in albergo per spiegare bene la situazione, agevolando al massimo l’assistenza che avrei ricevuto. Ha tentato anche di spiegare il percorso, ma con me è tempo perso…

Così, al mattino alle 7 meno 5 non sono neanche nella griglia di partenza, eravamo un po’ in ritardo…

Partono.

Tutti evidentemente hanno sbagliato gara: no, forse hosbagliato io, siamo in mezza maratona cazzo.

E vadano pure che cavolo, se parto così pure io mi ammazzo.

In mio soccorso arriva Roberto Beretta, il Team delBarmasse è ricompattato, mi sembra un sogno: lui chiacchiera allegramente e mi fa compagnia, poi nelle prime discese mi metto sui suoi passi sicuri e vengo giù senza danni.

Quando, dopo circa 3 ore mi segnala che non abbiamo trovato ancora il primo punto acqua obietto che il primo ristoro è al 30°, sono sicura. E invece ecco apparire assiepata un po’ di gente, ecco il punto acqua: ecco, non ne abbiamo fatti nemmeno 20!!! Oltre 3 ore per circa 18 km. Uno sballo.

Comunque, a questo punto gravito sulla 4° posizione, e ciò che è straordinario è che non m’importa. Sto iniziando a entrare in regime, non ho male in nessun posto, WOW, e i miei pensieri sono tranquilli.

Così, al ristoro successivo, Nerea esce dall’area quando entro io, siamo credo al 30°. Sono terza ancora per qualche minuto, poi vado. È ora.

Nella salita, decisamente verticale ma dolcissima paragonata al seguito, non vedo più nessuno sotto di me, sono riuscita a disfarmi anche degli uomini che erano vicino a Nerea. Significa che va bene, posso andare avanti così.

Poi arriva un tratto sulla neve, poi un pistone da sci con salita più o meno corribile ma che gestisco. In cima c’è il ristoro, Renato mi dice che ho recuperato su Emilie che è a 6 minuti. Mangio, bevo, pipì, riparto.

Altra salita. Arriva l’elicottero delle riprese, alzo la testa e appare Emilie. In cima a questo dannato muro l’avrò raggiunta. Durante la discesa verso il ristoro la lascio andare, va bene così, ho capito.

Renato mi aspetta con i viveri, mi siedo, lei no. Mangio con calma, bevo con calma, la lascio ripartire. Poi vado.

Poi passo.

Adesso rimane solo da vedere che succede.

E succede un’altra di quelle magie che non capirò mai, quelle cose fantastiche che ogni tanto fa il corpo: così, intorno al 60° km, dove Renato ha sempre detto che sarebbe cominciata la gara, inizio a sentirmi come appena alzata dal divano, corro dappertutto. Ho pensato che potesse essere rischioso, ma ho deciso di correre il rischio perché era il momento buono per riuscire a fare un po’ il vuoto.

Ha funzionato, e da lì in poi nessuna ha più recuperato niente.

Questa, in sintesi, la gara dal punto di vista della competizione.

Il percorso invece, un inferno.

Fortunatamente il balisage era davvero impeccabile, ma un terreno così, giuro, non l’ho mai pestato in vita mia. Dove non c’erano paludi c’era neve, dove non c’era neve c’erano le zolle scivolose e infide, se non eri su un muroverticale eri su una discesa con pari caratteristiche. Punti di transizione pochissimi, e quando c’erano non erano manco quelli dei sentieri ma dei traversi creativi in mezzo alla steppa.

Mai vista, ripeto, una roba del genere.

La notte, freddissima, tutta con i piedi a mollo. L’alba nella neve in mezzo al vento. Colazione con le brioches al Pas della Casa, in fondo all’ultimo nevaio che avrei dovuto percorrere in discesa, poi si riparte per gli ultimi 35 km credo, con 800 gradi all’ombra. Nella steppa. Non ne posso più.

Questa faccenda inizia a stufarmi, e credo che sia umano data la configurazione tipica che stavo imparando a riconoscere. A un traverso del cazzo impossibile da percorrere, seguiva sempre un dannato muro, di neve, pietre, erba o qualunque materiale, in cui la velocità di avanzamento non superava i 3 all’ora essendo ottimisti. Roba da andar fuori di testa.

E poi c’era il problema di Renato. Funziona così, io mi faccio un’idea a caso dell’orario in cui mi aspetto di vederlo, oppure vado in base alla configurazione del terreno. In un centro abitato ci DEVE essere. Se non c’èsignifica una cosa sola, e cioè tipicamente, che ho percorso la metà della strada stimata.

Alla fine questo fatto mi era sempre più intollerabile, così quando poi finalmente appariva, finiva che invece che provare sollievo gli scaricavo addosso tonnellate di frustrazione e la situazione diventava delirante. Fortunatamente è molto paziente….Poi bisogna ammettere che aveva 2 compiti complicati: gestire la mia gara sul posto, e tenere i contatti con Simona a casa.

Simona ha preso a cuore la faccenda, ha minacciato d’inviargli un mesaggio ogni mezz’ora se non avesse fatto bene il suo dovere d’informatore.

Insomma, riuscire a gestire 2 come noi richiede doti non comuni, e Renato ha decisamente superato la prova. Simona è d’accordo. È andato bene.

Ora dopo ora, sintetizzando, arrivo agli agognati ultimi 15 km, che per me, per come avevo codificato io le cose, dovevano essere 10, ma amen, facciamone 15.

Mi dicono “vai campiona, c’è solo una salita che per te è facilissima, 650 metriD+”.

Renato stima che è come il Bertone. Ora, cani e porci vanno al Bertone, dov’è il problema?

Il problema è sempre il solito. Muro di 150 metri. Discesa facilissima (x un’unica volta) e corribilissimasolo che non se ne può più, e…..traverso di merda con muro finale. Lì, giuro, credo di avere assunto il passo di uno sull’everest senza bombole. E non è che avessi il fiatone. Né ero morta di fatica. Semplicemente, NON ANDAVO AVANTI. Arrivata in cima, con tutti questi che non finivano più di dirmi “campiona” di qua e “campiona” di là, ho fatto che sedermi nella tenda a mangiare anguria. Con la conseguenza che alzarmi dalla brandina è stato un’impresa e muovere le gambe impossibile.

Ero diventata un palanchino e dovevo farmi il discesone ripido, 2 nevai e il traverso con le zolle. STORTA. Fanculo.

Da lì in poi ho percorso un tratto come se fossi in gita con l’asilo, per poi dovermi rimettere in assetto di guerra per l’ultima ripidissima discesa.

Discussione con Renato che non condivideva la modalità“gita dell’infanzia”, ma ormai era fatta. Ormai ero arrivata.

Chissenefrega se mi hanno passata 3 uomini sul finale, chissenefrega di tutto.

Questa, come ho letto in seguito, viene definita la gara più dura del mondo, e l’ho vinta io.

Può bastare. Va bene.